Una vita levantina: tra Iskenderun, Beirut, Italia ed Istanbul

Intervista con Pia Levante Butros

Selin Toledo
12 min readOct 18, 2018

Questa intervista originalmente appare sulla Gazzetta di Istanbul (bollettino mensile italiano in Turchia, pubblicato dal Circolo Roma) dell’ottobre 2018.

Pia Levante Butros a casa sua, Maçka, Istanbul (foto: Selin Toledo)

Mia nonna mi porta da Madame Pia, a Maçka, a pochissimi chilometri da casa sua a Topağacı. Madame Pia ci da il benvenuto e ci serve la marmellata di kebbat, un agrume conosciuto più comunemente con il nome di bergamotto. Il kebbat è stato portato dalle sue vicine di Iskenderun che sono in visita, abbiamo l’opportunità di sedere e chiacchierare anche con loro. Madame Pia mi racconta che ogni anno ad Iskenderun piantano il kebbat e poi lo portano ad Istanbul. “Ne hanno portati 10 quest’anno, l’anno scorso ne avevano portati 17.” dice Madame Pia. “L’anno scorso ho comprato anche 22 chili d’olive, ne sono usciti 10 chili d’olio di oliva. Vediamo quanti chili arriveranno quest’anno, e quanti chili d’olio ne usciranno!”. Ride, insiste perché proviamo il kebbat e mangiamo un po’ di tutto; la tavola è adornata di cioccolatini, Paskalya çöreği e tanti altri dolci… Prendiamo il tè e cominciamo a conversare.

Lei è levantina, conosce la storia della sua famiglia? Come sono arrivati al Levante?

Tommaso Levante, mio bisnonno, ha seguito Napoleone ed è stato in Egitto. Mio bisnonno era medico, quindi quando Napoleone partiva per le sue campagne, portava con sé tutta una moltitudine di gente che poteva servire sul posto. Dopo due-tre anni, la campagna é terminata e sono tutti tornati dall’Egitto eccetto alcune persone tra cui mio bisnonno, che é andato in Medioriente, in Siria. Si è sposato lì e ha avuto non so quanti figli, fra i suoi nipoti c’erano: Emilio Levante, Livio Levante, Enrico Levante, Rinaldo Levante e poi loro cugini, cioè mio papà Alfredo Levante, Iolanda Levante, Mario Levante, Carlo Levante, Mira Levante. Questi parenti sono tutti nati tra la Siria e il Libano. Mio nonno si è stabilito ad Iskenderun, i cugini a Mersin ed Istanbul. Tutti erano agenti marittimi. Questo era il lavoro che c’era a quell’epoca perché queste erano delle città marittime.

Quale cittadinanza avevano? Erano italiani o turchi?

Fino al 1939, il Sancak di Iskenderun era legato alla Siria, sotto il governo della Siria. Nel 1939 la Turchia ha preso la regione di Hatay, che era annessa alla Siria. Così Hatay è diventato turco. A quell’epoca tutti in Siria erano siriani. Quando hanno preso Hatay, tutti sono diventati turchi. Diciamo che tutti quelli che sono nati in Siria eccetto gli italiani erano siriani. Mio papà era italiano durante il Sancak e quando il Sancak è stato restituito alla Turchia è rimasto italiano. Essendo italiano però bisognava che riprendesse il permesso di residenza. Invece mio suocero, nato all’epoca dell’Impero Ottomano, era siriano. Nel ‘39, quando la Turchia ha ripreso Hatay, visto che la sua famiglia aveva dei terreni, mio suocero è diventato turco. Quindi la sua famiglia ha turchizzato il proprio cognome, passando da Butros a Butrosoglu.

Che lavoro faceva suo padre?

Anche mio papà era agente marittimo. Come ti ho detto i suoi avi, suo nonno, suo padre, tutti in famiglia, i miei famigliari, mio fratello, il figlio di mio fratello, tutti i Levante lavorano ancora in ambito marittimo: lavori di navi, di transito di merce, di transito di petrolio in questa zona…

E poi è nata lei… Qual era la sua lingua materna?

Io sono nata appena la regione di Hatay è entrata in Turchia. Sono nata in Turchia, non in Siria. Quindi mio papà era italiano, mia mamma siriana. Mia mamma non parlava italiano — loro erano quasi tutti francofoni, a casa si parlava il francese. Lei aveva fatto gli studi alla scuola francese, perché fino al 1938, dato che Hatay apparteneva alla Siria, c’erano scuole inglesi, francesi, scuole religiose, scuole di preti certo… A quindici anni però, suo papà l’ha mandata in Francia per studiare. Quindi a casa nostra si parlava francese.

Quindi era il francese la prima lingua che ha parlato?

Io quando ho cominciato a parlare, parlavo quattro lingue automaticamente: francese perché si parlava a casa, turco perché eravamo in Turchia, arabo perché le donne di servizio erano tutte arabe e greco perché vicino a casa nostra viveva una famiglia greca con nove bambini. Con i più piccoli andavamo alla scuola italiana insieme. Solo gli stranieri potevano andare alle scuole straniere, quindi i greci con nazionalità greca potevano andare alla scuola italiana. C’era la scuola italiana tenuta dai preti. I religiosi erano andati via dopo il ‘39, quando Hatay è diventata turca. Solo le chiese con i preti sono rimaste. Una di queste era la chiesa italiana, quindi i preti facevano scuola per gli italiani. Potevano andare a questa scuola italiana solo gli stranieri, come i greci; perciò i nostri vicini venivano alla scuola italiana. La loro mamma faceva la sarta. Con la mamma parlavano dalla finestra in greco. Noi andavamo alla scuola con i loro figli. Eravamo vicini, loro venivano, giocavano con noi, noi giocavamo con loro nel loro giardino.

Si considera fortunata per questo fatto?

Quattro lingue: francese, turco, arabo e greco, sans effort. Bisogna che confessi che ho avuto dal Signore il dono delle lingue. Perché io sento che certe persone dicono “Io da giovane parlavo il francese come se fosse la mia lingua madre, ma adesso non mi ricordo nemmeno una parola.”. E allora in che modo hai imparato la tua lingua madre?

Quindi l’italiano l’ha imparato più tardi?

Allora noi, essendo italiani, alle scuole medie e al liceo siamo andati sempre alla scuola italiana e l’unica lingua che ho imparato a scuola è stata l’italiano perché papà ha voluto che noi imparassimo l’italiano.

Quindi mio fratello ha finito il liceo a Beirut, era un ragazzo brillante. A quell’epoca Istanbul era troppo lontana, non c’erano mezzi per venire qua. Per questo tutti i cristiani, i francofoni, andavano a Beirut a scuola. A Beirut c’erano scuole, l’università americana, l’università francese, scuole di tutte le lingue… E anche la scuola italiana.

Anche lei è andata a Beirut a studiare?

Io prima sono venuta qui ad Istanbul a dieci-undici anni. Mio padre ha aspettato che mio fratello tornasse a casa dopo aver finito i suoi studi a Beirut prima di mandarmi alla scuola italiana ad Istanbul. Lì piangevo tutti i giorni, non ero mai uscita da Iskenderun non avevo mai visto un convento delle suore. Il secondo anno mio papà mi ha mandata a Beirut perché non sono riuscita a restare ad Istanbul…Ho pianto tanto!

Ad Istanbul come classe ero in terza, ho frequentato lì un anno di scuola italiana. Poi nel 1950–51 sono andata a Beirut, dalle stesse suore: Congregazione delle Suore di Ivrea.

Com’era Beirut?

Quando io sono arrivata a Beirut, nel 1950–51, la scuola era appena stata aperta perché negli anni 1945–46 c’era la guerra e la scuola era invasa dagli soldati inglesi, quindi le suore erano andate via. All’epoca, io ero la unica studentessa che alloggiava nel collegio della scuola.

Le suore andavano in chiesa a pregare alle sei ed io studiavo. Non mi piaceva per niente, piangevo. Mio zio viveva a Beirut, lavorava al consolato d’Italia. Lui mi diceva “Non piangere, guarda dalla finestra il consolato e mi vedrai.”. “Che?” pensavo io, ma se il consolato distava cinque minuti in macchina, forse quindici minuti a piedi!

Quindi ha finito la scuola media ed il liceo a Beirut?

No… Allora, sono arrivata all’ultimo anno di scuola media. Quell’anno c’erano quattro-cinque ragazze in ogni classe. Questo non era sufficiente per la scuola dato che si facevano venire delle professoresse dall’Italia. Per questo motivo non hanno potuto aprire le classi del liceo e così mio padre ha deciso di mandarmi a Trieste, dove viveva sua sorella, insieme anche a mia sorella che aveva un anno più di me.

Quindi ha finito il liceo a Trieste…

No! Questa zia si era sposata con un ingegnere agricolo italiano e, giusto quell’anno, il marito era stato trasferito in Sicilia. Pertanto siamo finite in Sicilia.

Ah! E come le è sembrato studiare in Sicilia?

Ora, dopo tanti anni, apprezzo tanto la Sicilia per la sua bella storia, ma in quei giorni era un inferno per me: dovunque andassi c’erano edifici vecchi, chiese vecchie, strade strette, aman aman aman aman! Avevamo 12–13 anni, c’erano solo scuole di suore per le ragazze in quella piccola città. Eravamo molto lontane dai nostri genitori, quindi io vedevo tutto ciò che era intorno a me come un inferno. Visto che suo marito era ingegnere agricolo, mia zia abitava in una fattoria. In mezzo a questa enorme fattoria c’era una villa di tre piani. I miei zii vivevano in questa villa insieme agli altri ingegneri e alle loro famiglie. Quindi mia sorella e io uscivamo da un monastero — la scuola, poi passavamo forse due o tre ore in città, mangiavamo pizza e gelati, facevamo spese, e rientravamo in un altro monastero — la casa dei miei zii! Davvero, era così! Abbiamo vissuto lì tre anni e dopo finalmente siamo tornate a casa, ad Iskenderun.

Notavano che non veniva dall’Italia quando parlava in italiano?

Certo, non ti dimenticare che quando parli sei-sette lingue hai un po’ d’accento e ti chiedono di dove vieni. Mi chiedono di dove sono anche quando parlo in turco, mi dicono “Il suo accento è un po’ strano” etc..

Rispetto ad adesso com’era studiare all’estero in quell’epoca ?

Vi racconterò una cosa: prima di andare in Sicilia i miei genitori hanno scritto una lettera alla scuola chiedendo cosa dovevo preparare e portare con me: quanti pigiami, quanti asciugamani, quante coperte e cuscini etc. Quindi abbiamo fatto una lista. Mio padre ha detto che probabilmente non potevamo comprare un letto ad Iskenderun e spedirlo là e ha chiesto alla scuola se potevamo affittarne uno lì. Hanno detto di sì. Allora quando sono arrivata in Sicilia ho ricevuto un materasso: un sacco riempito da lana! Io vedevo tutti quei bei letti nuovi degli altri, mentre il mio era un sacco…La mattina, quando facevo il letto, non sapevo come gonfiarlo, come dargli forma. Oggigiorno io vedo i giovani, ogni volta che c’è una piccola cosina dicono “Non lo voglio.”. Io, davvero, non ho pensato nemmeno una volta di dire a mio padre “Il mio letto è brutto, è un sacco…”. Noi allora eravamo molto più umili. Tutta la gente era così a quei tempi. Allo stesso modo quando mia madre era in Francia per studiare le hanno comprato un cappotto da Aleppo. Lei è cresciuta molto quell’anno e cosa hanno fatto i suoi genitori? Invece che comprarle un cappotto nuovo, hanno cucito una pezza di velluto sotto il cappotto perché era nuovo di zecca. Sai, mia madre era figlia unica, suo padre — mio nonno, era molto ricco, eppure hanno fatto così. Dai, dillo ai bambini di adesso!

Quindi siete tornate a casa… Com’era la vita ad Iskenderun?

Iskenderun era una piccola città di 10 mila abitanti, però tutti si conoscevano. C’erano tante famiglie cristiane che si frequentavano. Mia mamma aveva un cugino che non si era sposato e abitava in una villa di due piani. Tutte le domeniche a casa sua c’era open house. Gli adulti andavano alle quattro del pomeriggio, giocavano a kanasta, a bezik, poi c’era la cena, c’erano anche quelli che giocavano a bridge. La sera c’era un bel buffet come cena, si giocava anche la sera e poi si tornava a casa. Ora naturalmente tutte le persone di quell’età, compresi miei genitori, sono morti. Ormai anche noi abbiamo superato l’età che avevano loro a quell’epoca! (Risate)

La vita era semplice, c’era poca gente, poche macchine, di sicuro poco lavoro dopo la guerra. Poi pian pianino negli anni 1950–51 il lavoro è ricominciato, ma per noi il lavoro era sempre con il mare. E così, ci siamo…

Come erano le estati ad Iskenderun? Cosa faceva con la sua famiglia?

C’erano due altopiani molto popolari ad Iskenderun: Nergizlik e il famoso Soğukoluk. A Nergizlik andavano soprattutto gli ortodossi. Si trovava a mezz’ora da Iskenderun, in un altopiano piccolo. Tutti avevano una casa lì. Le macchine salivano a Nergizlik poco a poco dalla valle, riconoscevamo la gente che arrivava dai fari dalle macchine. Ancora non c’erano telefoni a Nergizlik all’epoca, ci si chiamava da casa a casa, gridando. Mi ricordo mia madre che chiamava la sua vicina “Dremon Dremon! Venez a jouer aux cartes!” — vuol dire “Venite a giocare a carte”. A Nergizlik pero non c’erano negozi, bakkal, macellai. Non c’era nulla. Pian piano tutti l’hanno abbandonato.

Hanno preferito Soğukoluk?

Soğukoluk era più popolare, a venti minuti da Iskenderun. A Sogukoluk, come ben dice il nome, faceva moltissimo freddo. Nemmeno in luglio e agosto faceva caldo, faceva così freddo che per stare fuori bisognava indossare un maglione. Lì c’era un hotel bellissimo per i villeggianti. All’epoca ci andavano anche molte famiglie di Aleppo visto che Aleppo si trova solo a 120 chilometri da Iskenderun, molto vicino. Nell’hotel c’era un ristorante con terrazza e là, di tanto in tanto, vedevamo qualche uomo cenare con qualche donna.

Bene, risulta che gli uomini portavano delle donne, cenavano e poi se ne andavano giù alle camere; praticamente c’era un bordello nell’hotel. Quando c’è stato il colpo di stato militare nel 1980 tutti i piccoli alberghi di questo tipo sono stati chiusi per la legge marziale. Comunque i gestori dell’hotel sono andati a parlare con il presidente e gli hanno detto “ Per favore comandante, siamo senza pane, ci lasci tenere aperto l’hotel, non abbiamo soldi…”. Lui però ha risposto: “Ascoltate, ad una condizione: non farete quelle cose…”. I gestori dell’hotel hanno detto che senza quel lavoro l’hotel non avrebbe portato guadagni sufficienti, quindi anche l’hotel di Sogukoluk è stato chiuso e il villaggio è praticamente morto.

Anche la sua famiglia andava a Soğukoluk in quei tempi?

Davanti all’hotel c’era una pendenza e in fondo c’erano due ville. Anche quest’area apparteneva all’hotel, ma ancora prima che l’hotel venisse chiuso era stata venduta a due famiglie, ad una condizione: non dovevano costruire un secondo piano per non coprire la vista dell’hotel. Uno dei proprietari delle ville, che era un buon amico del proprietario dell’hotel, invece ha costruito il secondo piano della villa coprendo la vista; quindi fra questi due amici sono sono iniziate le liti e alla fine hanno smesso di parlarsi. Così alla fine abbiamo comprato quella villa noi. Quando mio figlio si è sposato abbiamo costruito anche il terzo piano, ma non sono venuti nemmeno una volta a dormire!

Andate ancora lì d’estate?

Ormai nessuno va a Soğukoluk, solo poche famiglie. Adesso tutti vanno a Arsus cioè alla costa, ci sono le spiagge, capisci? È più divertente per i giovani, ci sono discoteche, ristoranti… Soğukoluk è morto il giorno che hanno chiuso l’hotel. Ora anch’io vado ad Arsus in estate. Gli altopiani ormai sono morti, noi andiamo sempre ad Arsus. Il tempo dell’altopiano era buonissimo, non sudavi, non faceva tanto caldo lì. A Soğukoluk c’era anche il telefono, a Nergizlik no, ma più tardi, anni dopo, anche lì è arrivato il telefono.

Anche lei è stata sempre cittadina italiana come suo padre?

Come ho detto, mio suocero era diventato turco. Quindi quando mi sono sposata con mio marito, che era turco, da italiana sono diventata turca perché l’Italia non permetteva la doppia cittadinanza; sono stata costretta a restituire il mio passaporto italiano al consolato, pero trenta anni fa, c’è stata una nuova legge in Italia che diceva che chiunque, per qualunque ragione, avesse perso la cittadinanza italiana, la poteva richiedere e riprendere. Noi del sud dipendevamo dal consolato di Smirne; allora ci sono andata e ho trovato due testimoni e dopo tre mesi ho ricevuto il mio passaporto italiano. Ora i miei figli sono italiani, i miei nipotini sono italiani, anche le mie nuore sono diventate italiane!

Continuano a parlare italiano anche loro?

Noo… No no no. Sai, tutti i giovani qui vanno alle scuole francesi, anche i miei nipoti e l’italiano non viene insegnato. Si insegnava spagnolo e inglese, inglese lo fanno sempre nelle scuole straniere e poi sono stati costretti ad imparare lo spagnolo, anziché l’italiano.

Anche suoi figli hanno studiato alla scuola francese?

Sì. Quando mio figlio Emile aveva undici-dodici anni l’abbiamo mandato a Beirut a studiare. Come ho detto, a quei tempi c’erano tante scuole che insegnavano in francese lì. Anche mia figlia, Paula, è andata a Beirut per studiare. Entrambi stavano in collegio, mia figlia in una scuola di ragazze e mio figlio in una di ragazzi. Comunque nel 1974 è iniziata la guerra in Libano. Quell’estate abbiamo visto che la situazione stava peggiorando visibilmente, esplodevano bombe etc., si avvicinava la guerra, quindi cosa ho fatto? Sono andata lì, ho preso tutte le sue cose e ho mandato mio figlio a scuola in Francia, ad 80 chilometri da Parigi.

Per coincidenza, c’era un altro Butros nella scuola di Emile. Questo ragazzo era, infatti, un cugino. Mio suocero, che era diventato turco quando Hatay è entrata a far parte della Turchia, aveva un fratello che all’epoca era rimasto siriano, poi era andato a Beirut e aveva preso la cittadinanza libanese. Quindi questo fratello di mio suocero si era sposato in Libano e aveva avuto un figlio. Questo figlio ha avuto un solo figlio che era il cugino Butros nella scuola di Emile in Francia. Tutti gli chiedevano: “ Ma voi siete cugini, perché uno di voi è turco e l’altro libanese?”. E così, dovevano spiegare la storia di questa famiglia.

Com’è venuta ad Istanbul?

Dopo che mi sono sposata ho continuato a vivere ad Iskenderun, fino all’anno 1988. Nel 1987 mio marito è morto in un incidente stradale. Lui voleva comprare un appartamento a Istanbul, quindi un anno più tardi, nel 1988, io sono venuta ad Istanbul, l’ho comprato l’ho fatto restaurare. Questa è la casa in cui mi trovo adesso. I miei figli più tardi si sono sposati.

Iskenderun è cambiato? Come lo trova adesso?

Tutti conoscevano tutti ad Iskenderun, noi andavamo ad un club e conoscevamo a tutti lì. Adesso andiamo a quel club, se in quel ristorante conosco cinque persone ce ne sono cinquanta che non conosco. Certo, molte persone sono morte.

Quelli che si prendono cura del nostro giardino ad Arsus hanno un detto: “Dio ti dia una buona fine.”. Che bel desiderio per una persona.

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Selin Toledo

Biologist — paleobotany | history-culture-language enthusiast | ISTANBUL-LONDON